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I Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS) sono stati introdotti dalla Comunità Europea nel 2009 nell’ambito di una serie di iniziative derivanti da una attenzione alle città e alla loro crescente importanza sia come fattore di sviluppo economico e sociale sia come “anello” di particolare vulnerabilità di fronte a vecchi e nuovi fattori di rischio. A livello europeo la concentrazione della popolazione negli ambiti urbani enfatizza infatti problemi tradizionali, come i problemi di congestione, di inquinamento dell’aria, di consumo di suolo e problemi nuovi, come la disoccupazione giovanile, l’allentamento della coesione sociale, l’invecchiamento o ancora la vulnerabilità della popolazione e delle attrezzature urbane agli eventi estremi come inondazioni, ondate di calore o periodi di siccità connessi al cambiamento climatico.

L’orientamento alla sostenibilità come carattere specifico del PUMS comporta che il Piano sia costruito sulla base di criteri in larga parte innovativi:

  • un approccio partecipativo, dove al centro dell’attenzione stanno le persone piuttosto che il traffico;
  • un impegno verso la dimensione sociale, economica ed ambientale della sostenibilità;
  • un approccio integrato: che tiene conto di strumenti e politiche dei diversi settori, livelli amministrativi e autorità limitrofe;
  • obiettivi e traguardi misurabili;
  • un esame dei costi e dei benefici delle alternative di trasporto;
  • un monitoraggio continuo dei risultati e delle eventuali necessità di aggiustamento.

L’UE ha diffuso efficaci Linee Guida per la formazione dei PUMS e ha proposto che per le città disporre di un PUMS approvato e validato possa divenire fattore di condizionalità ex ante per ricevere fondi strutturali. Inoltre, l’UE assegna un premio annuale per i migliori PUMS delle città europee e favorisce, attraverso l’European Platform on Sustainable Urban Mobility Plans, lo scambio di esperienze, la descrizione di casi e buone pratiche e l’organizzazione di incontri e seminari.

Si assume che “rigenerazione” obbedisca ai seguenti principi di fondo:

  • trasformazione di suoli già urbanizzati o comunque “consumati”, ovvero deprivati della loro naturalità o utilizzazione agricola;
  • trasformazione in grado di rispondere ad una specifica domanda (di alloggi, di attività, di servizi, ecc.) di nuovi insediati aumentando al contempo la dotazione di attrezzature e servizi del contesto urbano
  • trasformazione in grado di perseguire obiettivi di equità e coesione sociale, anche attraverso forme di partecipazione attiva degli abitanti (vecchi e nuovi) alla fissazione dei target da raggiungere, alla definizione progettuale degli interventi e alla gestione degli spazi collettivi.

Da un punto di vista generalissimo sarebbe opportuno distinguere due situazioni tipiche, che richiedono misure - e relativi parametri di valutazione - differenti:

  1. il caso di interventi di dimensione ridotta (dal singolo edificio al piccolo nucleo) che modificano un tessuto esistente o intervengono in una zona di completamento (potrebbe essere il caso di politiche diffuse di densificazione).
  2. il caso di interventi di dimensione rilevante, che spesso implicano modificazioni d’uso di aree occupate da attività obsolete, in grado di influire su intere parti di città o addirittura su tutta la struttura urbana.

Negli interventi di piccola dimensione il criterio prevalente dovrebbe essere il rispetto della capacità di carico delle infrastrutture disponibili, il miglioramento dell’accessibilità pedonale e ciclabile ai servizi e una organizzazione dello spazio favorevole alla componente pubblica e alla sua utilizzabilità sociale.

Negli interventi di dimensione rilevante la parola “rigenerazione” dovrebbe invece significare che l’intervento contribuisce a migliorare, evitando consumo di suolo non urbanizzato, alcuni parametri chiave della qualità urbana e in primo luogo l’arricchimento delle dotazioni di beni comuni e attrezzature collettive a livello locale e a livello urbano.

Dallo specifico punto di vista della mobilità l’intervento dovrebbe comprendere:

  • il miglioramento dell’accessibilità alle suddette dotazioni di beni comuni a livello urbano e a livello locale, con particolare riferimento alla accessibilità per pedoni e ciclisti
  • ripartizione dello spazio pubblico a favore della pedonalità e delle attività collettive
  • livelli di inquinamento dell’aria e di rumore conformi agli standard per il benessere delle persone, della flora e della fauna
  • densità territoriali proporzionali alla dotazione di servizi di trasporto pubblico con contemporanea riduzione dell’offerta di parcheggi
  • sistematica accessibilità pedonale e ciclabile ai servizi necessari alla vita quotidiana
  • uso appropriato e generalizzato delle tecniche di moderazione del traffico (isole ambientali, città 30 km/h, ecc)
  • organizzazione del sistema dei trasporti orientato alla riduzione dell’uso dell’auto (car sharing, bike sharing, insediamenti car free, revisione degli standard di parcheggio)
  • verificabile riduzione dalla dipendenza dall’automobile e del conseguente risparmio di emissioni climalteranti
  • adeguata dotazione di servizi di trasporto pubblico, accompagnata da una accessibilità pedonale e ciclabile a nodi delle reti di trasporto pubblico urbane e territoriali
  • mantenimento di accettabili livelli di servizio della rete stradale, da ottenere anche attraverso misure di gestione della domanda (regole, ripartizione modale, tariffazione),
  • elevati livelli di sicurezza (aree a zero incidenti)
  • la possibilità di godere di una vita sana per la presenza e utilizzabilità pedonale giornaliera di aree verdi, tendenzialmente connesse a rete (spazi aperti).
  • continuità ed efficienza delle reti ecologiche urbane e territoriali e loro integrazione con i percorsi della mobilità non motorizzata
  • governo del microclima (riduzione al minimo dell’isola di calore)
  • verificabili livelli di resilienza agli eventi estremi (gestione delle acque, permeabilità dei suoli, ecc.)

Ognuna delle caratteristiche del tipo ora esemplificato (o delle specifiche caratteristiche che dovranno essere definite nel processo di rigenerazione) richiede la fissazione di target e di tempi entro i quali raggiungerli e la definizione dell’insieme di azioni e misure necessarie a raggiungerli. In questo consiste propriamente il processo partecipato di progettazione dell’intervento.